Comitato Regionale

Emilia-Romagna

Un calcio del passato

Affetto, amicizia e riconciliazione (fuori dagli stereotipi) nel romanzo "La partita" di Stefano Ferrio, edito da Feltrinelli

di Vittorio Martone


TUTTE le storie di dualismi possono apparire semplici a una prima lettura, perché nel contrapporre personaggi polarizzati è facile che si indulga in qualche stereotipo di troppo. Ma tali racconti, se scritti bene o comunque in maniera onesta, hanno dalla propria parte la tendenza a puntare inevitabilmente verso qualcosa di più reale e contraddittorio. Questo è quanto accade anche nel romanzo "La partita" di Stefano Ferrio (Feltrinelli, Milano 2011, 204 pp., € 15,00).

Brevemente la trama: due squadre della provincia veneta si giocano l'ennesima partita di calcio. Da un lato i figli della borghesia, dall'altro quelli del proletariato; gli uni abituati a vincere facile, gli altri coesi nella sconfitta e legati da un solido rapporto identitario che li porta a riconoscersi nella logica di un calcio ordinato, pulito ed efficace come quello dell'Inghilterra di Bobby Charlton e del capitano Bobby Moore. Si è sul finire dell'incontro quando il pallone, sul risultato di parità, si perde irrimediabilmente in una piantagione adiacente al campo. Partita sospesa!, anzi no, rinviata. A trentatre anni dopo, tanto per eccedere nella romanticheria di questi giovani degli anni settanta.

Il livore che intercorre nei rapporti tra le classi è ovviamente forte, ma nel racconto è descritto in maniera tale da risultare caricaturale - e mi piace pensare che l'autore abbia voluto prendersi un po' gioco di quel sé ragazzo che questa storia, si capisce, più o meno l'ha vissuta. E infatti trentatre anni dopo le due squadre si ritrovano per davvero. La sfida non avrà quel sapore epico tanto agognato (e qui si esce e bene già da molti stereotipi) ma si disputerà comunque, anche se a formazioni un po' diverse dal previsto. Un po' per le peripezie di cui non si vuole anticipare nulla, un po' perché il tempo ha cambiato inevitabilmente molte cose e portato via qualcuno.

Le storie di diaspora tra questi cinquantenni sono quelle del post anni '70. C'è chi si è fatto prete, tanti dottori e professori, qualche politico, qualcuno morto per droga a cui non ci si riesce a disaffezionare. E infatti ne' "la partita" per antonomasia di trentatre anni dopo quello che si sente è un grande affetto. E qui ci potrebbe essere il rischio di caduta immediata nella riconciliazione, che però Ferrio riesce intelligentemente ad evitare con un bel diversivo narrativo - e dando sempre la colpa alla sua categoria, quella dei giornalisti.

In generale ci si ritrova quindi davanti a un libro complesso, pur nella sua semplicità. È abbastanza oggettivo quel che ne afferma Gianni Mura nella fascetta che avvolge il volume del suo collega Ferrio: "In queste pagine respira l'anima del vero calcio". Rispetto a tale complimento, l'autore in realtà minimizza e si schermisce. Ma a torto, perché Mura appunto non mente. C'è un momento poi in cui la sua affermazione è particolarmente vera, che riguarda l'episodio più divertente del volume, centrale e fonte anch'esso di sviluppi narrativi come la partita interrotta. È l'amichevole notturna dell'Inghilterra "made in Veneto" contro un'agguerrita "Olanda" di vacanzieri "tosti, possenti, superbi". Una cronaca serrata e senza tregua, minuziosa nella descrizione di totali e particolari: un ulteriore invito a tuffarsi per qualche ora in questa bella storia di calcio.

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